Acquacoltura 

L’acquacoltura italiana è considerata tra i settori socio-economici più vulnerabili ai cambiamenti climatici: essa è infatti molto sviluppata in aree come il Nord-Est e lungo la costa adriatica che risultano tra le aree più fragili rispetto all’aumento delle temperature superficiali, all’innalzamento del livello del mare, all’acidificazione delle acque, all’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi e all’alterazione del regime delle piogge e allo stress idrico.

La molluschicoltura, che si concentra lungo la fascia costiera Nord Adriatica (Emilia Romagna e Veneto) considerata un hot spot per gli effetti del cambiamento climatico, appare il segmento produttivo sottoposto a un maggior numero di impatti, quali ad esempio: i. la riduzione delle performance delle specie allevate; ii. cambiamenti nel ciclo riproduttivo delle specie, riduzione del reclutamento naturale e della disponibilità di seme; iii) condizioni di stress, insorgenza di malattie, eventi di mortalità per le condizioni ambientali mutate e/o sfavorevoli; iv) episodi di contaminazione legata alla qualità delle acque; v) danni alle infrastrutture e perdita di materiale biologico legate agli eventi estremi. Anche le attività di piscicoltura d’acqua dolce, in particolare la troticultura, presenti nel Nord-Est (Veneto e Friuli) potranno essere soggette a impatti significativi per l’innalzamento della temperatura, la riduzione della quantità e qualità delle acque, con conseguenze sulle performance produttive e la salute delle specie allevate.